Taranto

È notte sui due mari,
ma la città non dorme.
Non dormono le macchine
autrici dei calvari,
non dormono i camini
che fumano veleni.
Bianche le nubi candide che volano nei cieli,
bianche come le morti tragiche,
come i sudari e i veli;
nere come i lutti e i pianti cupi,
sordide come ululati di lupi.
Polvere di stelle velenose
cade sui rioni antichi
che maledicono chi il mostro d’acciaio pose,
in quelle terre un tempo ubertose di fichi,
d’uva, d’olive e miele
che ora sputano solo fiele.
L’angolo di mondo che amava Orazio Flacco,
terra di primavera e del Dio Bacco,
che il figlio di Poseidon e della  ninfa,
Taras alato, che cavalca i delfini,

che scherza con le onde e gioca coi gabbiani,
quell’angolo di mondo,
quel paradiso raro,
venduto per l’acciaio,
a un prezzo molto caro.
È notte sui due mari.
Le luci intanto brillano sul castello aragonese,
sul ponte , sulle barche, sui muri delle chiese;
la luna che accarezza i tetto dei palazzi
e i sogni di chi pensa che siano tutti pazzi.
O i pazzi sono quelli che sognano un futuro?


Distese di conifere, al posto dei camini,
Immensi prati verdi e giochi per bambini,
campagne piene d’alberi,
e non di ciminiere,
e l’aria tersa e limpida , il profumo delle sere.
E mille viaggiatori venuti da ogni parte,
per ammirare il mare, la natura e l’arte
di questa Magna Grecia dal fulgido splendore
risorta dalle ceneri con coraggioso ardore.
È l’alba sui due mari, i fumi son lontani,
i probi leggendari sconfiggono i Titani.
Il sole sorge ancora,
rinasce la città,
svegliando la coscienza a nuova Umanità.
@Mariagrazia Pani
Taranto, 5 maggio 2017